Dolomiti di Brenta

Sulle orme di alcune Vie Normali

di Omar Oprandi


Premessa...

Sulle cime delle Dolomiti di Brenta, da poco tempo, è nata una bella iniziativa, quella di “concatenare” alcune Vie Normali in una bellissima, e non facilissima, cavalcata.

Ma non scriviamo ciò che è già stato scritto…


Il Brenta è un pò come casa mia, solo un po’ più grande.

Forse è per questo motivo che, ancora oggi, mi riserva delle bellissime sorprese. Ma partiamo dall’inizio. Tutto è nato dalla casuale visita ad uno dei tantissimi post che si trovano in facebook, ma non da parte mia, bensì da parte di quel “diabolico” appassionato alpinista di nome (che forse qualcuno già conosce) Maurizio. Si proprio lui, “quello del Sorapis”.


“… Omar: guarda che bello! Non sarebbe possibile andare a dare un’occhiata ?”. Il sasso è tratto, si dice. Ed è iniziata la mia ricerca, sull’invio di un suo link, che mi ha portato a vedere, nel gigantesco mondo web, quello che oggi si chiama “La Via delle Normali delle Dolomiti di Brenta”.

Come accennato, si tratta di un percorso alpinistico (rivisitato) che, in un'unica “cavalcata” ripercorre, con un bel mix di ferrate/arrampicate e lungheeee camminate, alcune delle più belle “Vie normali” sulle famose cime del Brenta come la Cima Ambiez, oppure la meno ripetuta Torre di Brenta… e tante altre.


Le Vie Normali sono e restano delle salite simbolo !

Anche perché realizzate dai pionieri di un tempo che salivano per scoprire passaggi per arrivare “la in alto”. Salite che ora non sono di moda.

Alcune conosciute solo per poter far ritorno da vie più gettonate. Altre quasi scomparse per via della loro “troppa semplicità” o solo perché su pareti disomogenee e quindi prive di interesse, che però stuzzicano la mia voglia di scoperta.


Scoperta di angoli ricchi di storia dell’alpinismo, dove ancora oggi, quasi 130 anni dopo la prima salita, si riesce a trovare il resto di una corda di canapa o un pezzo di cuoio di un vecchio scarpone. Dove trovare ancora oggi piccole scatole di latta, che una volta contenevano tonno, sgombri, e carne; oggi sostituite dalle più comode, leggere ed energetiche “barrette” proteiche.


Su quei terreni si respira ancora l’alpinismo classico per eccellenza. Dove non contano le difficoltà fine a se stesse, ma dove prevale quella grande voglia di giocare con le pareti, di esplorare la logica delle cengie e dei camini, per completare la salita più semplice e naturale che ancora oggi mi porta su una cima… addirittura quella principale del Gruppo di Brenta.

Sono luoghi dove, ancora oggi si possono immaginare, ma anche “ripetere dal vero” i movimenti dei pionieri di fine ‘800. Pionieri come Migotti, Nicolussi, e alcuni altri.


E’ questo il Gruppo di Brenta che mi ha sempre attratto, fin dal lontanissimo 1986.

Il Brenta è come un gigantesco bastione che rimane sospesa sopra le vallate che collegano Tione con Madonna di Campiglio a Ovest e quelle da Stenico ad Andalo, a Est. Un massiccio che alcune volte, con le nuvole che lo circondano più in basso, sembra galleggiare a mezz’aria. Solitario, possente, misterioso e perché nò, anche selvaggio.


In anni, ormai passati, su questo bellissimo parco giochi, ho “inventato” e realizzato alcune belle avventure… che però ora non vi voglio del tutto raccontare, perché quello che vi voglio raccontare è l’ultima fatta, durata 24 h.


Notte al Rifugio Agostini

Tutto è iniziato dal comodissimo passaggio che ci ha dato in fuoristrada l’amico Tiziano. Fino al Rif Cacciatori. Sono le 19.00 di un martedì sera. Prima non potevamo salire… ma forse è stato bello così, perché quelle luci si vedono solo a quell’ora, e l’aria frizzante della sera - dopo un temporale pomeridiano - aiutano a salire più in fretta per arrivare in tempo per la cena al Rif. Agostini, in Val d’Ambiez.


Che bello rivedere questo bellissimo Rifugio che è ancora adesso gestito dalla famiglia Cornella. Avevo conosciuto, l’ormai storico gestore, Ignazio tantissimi anni fa con accanto suo figlio Roberto che allora aveva 18 anni.

Adesso ritrovo quasi la stessa situazione. Solo che è il figlio di Roberto a darci il benvenuto e, come allora, è lui ad avere 18 anni. Ci accoglie nella sala del rifugio e ci fa vedere subito la camera dove dormiremo, non prima però, di chiederci cosa intendiamo mettere sotto i denti in modo che sia tutto pronto in poco tempo.


Prima di cena però non ci facciamo sfuggire il profilo di torri, pareti e guglie che scorgiamo attorno al rifugio. Le rocce hanno da poco perso l’infuocato colore degli ultimi raggi di sole. Dovremo aspettare l’alba del nuovo giorno per ammirare nuovamente la loro illuminante bellezza.

Nelle valli le luci delle case sono già accese mentre la notte pietrificherà queste pareti e questa piccola parte di Dolomiti con le sue vallate.







1° giornata

E’ mercoledì mattina, la sveglia suona alle 4.50. Fuori dall’appannata finestra della cameretta, in basso i paesi sono ancora al buio, con le stesse luci accese di ieri sera. All’orizzonte invece, più in alto, si riconoscono già le forme delle cime che formano un bellissimo anfiteatro… “la testata” della Val d’Ambiez.

Scendiamo in sala per la colazione. Roberto si aggira per la cucina con il frontale acceso per prepararci un buon caffè e del latte caldo. Ancora due chiacchere dei tempi passati, della recente valanga che aveva distrutto parte del rifugio, dei lavori che, ancora oggi, porta avanti Ignazio… ma è già ora di partire.


Sono le 06.00 in punto, usciamo dal dolce tepore del rifugio. Fuori fa freddo… ma siamo vestiti bene, e il sentiero, subito in salita, ci permette di “scaldare i motori”. Poco dopo attraversiamo la base di una delle più belle pareti del Brenta. E’ la qualità della roccia che contraddistingue la bellezza di queste mura. E’ la cima d’Ambiez.

Come per gran parte delle vette del Brenta, su ogni lato, non concede un facile accesso.

E’ il suo versante Sud che offre la salita più facile, che come altre è quella che in gergo alpinistico si chiama “Via Normale”.



Traversata della Cima d’Ambiez 3102m



Questa traversata prevede, come inizio, la salita lungo la Cresta Sud.

Un itinerario affascinante che sale nella parte più vulnerabile di questa montagna che, all’apparenza, potrebbe sembrare inaccessibile.

Essa invece offre una salita poco difficile, dove però servono dei requisiti minimi come la padronanza nel uso della corda, la conoscenza di alcune manovre di corda, l’abitudine e l’esperienza nella progressione "a corda corta" fatta in conserva… oltre alle capacità basilari nello scalare pareti che non superano quasi mai il III grado. Aaaaaahhhh già… anche un buon senso di orientamento.


Dopo due ore siamo in alto… il punto più alto, contrassegnato da un semplice ometto e un piccolo paletto di legno. Sono le 08.00, sembra che oggi “dobbiamo timbrare il cartellino” con le ore tonde tonde.


Ci mettiamo al riparo dal vento che oggi soffia da Nord Ovest. E’ quello che cercavamo, colui che ci garantirà una bella giornata. Fresca, ma duratura !


Qua in cima non può mancare un piccolo ristoro e qualche foto di rito sul bellissimo panorama che ci circonda. Sotto i piedi scende la bellissima e lunghissima Valle d’Ambiez, più in basso, di fronte, le campagne coltivate della “zona del Bleggio” nelle Giudicarie Esteriori, con a sinistra la lunga cresta della Paganella, poi il Monte Casale e Monte Brento quasi in primo piano, fino a scendere sulla parte trentina del Lago di Garda sovrastato dalla catena del Monte Baldo da una parte, e quella delle Cime della Val di Ledro dall’altra. Sullo sfondo si intuisce la grande Valle dell’Adige con dietro i Monti Lessini, le Piccole Dolomiti, il Pasubio e in lontananza la Pianura Padana, che oggi si vede piuttosto bene… con gli appennini a fare da sfondo. Ci giriamo un poco a sinistra e alla vista compaiono quasi tutte le Dolomiti Trentine e Altoatesine fino a sfociare nel vicino territorio Austriaco.


Smetto di descrivere questo bellissimo territorio che ho imparato a riconoscere dall’alto negli anni. Finalmente, per la gioia di Maurizio smetto di parlare.

Questo mi da giusto il tempo di far affiorare alcuni ricordi delle belle salite sulle vie della parete Est fatte negli anni 90: la classica Via Fox/Stenico, la Via Vienna, la Via della Soddisfazione (… il nome la dice tutta sulla qualità della roccia), la Via Linee Nere, la Via Concordia, la Via Bollicine e altre.

Ma il ricordo più “fresco” risale a pochi inverni fa in occasione della salita alla cima in veste da scialpinista, salito dal versante Nord/Ovest proveniente dalla Val d’Agola.


La discesa sul versante Nord

Dalla vetta seguiamo gli ometti che ci indicano la direzione. Ci sembra di camminare sopra le nuvole e in un attimo giungiamo in piena parete. Una parete aspra e piuttosto complessa, oggi resa ancor più ostica dalle tre dita di neve cadute ieri pomeriggio.

Sono però le nuove soste attrezzate per le calate in doppia, che ci aiutano nella discesa dalla “Via Normale da nord”.


Siamo “in giro” con una corda da 60 m. E’ l’ideale per questi terreni perché non converrebbe fare doppie più lunghe: ci sarebbe il rischio che la corda si incastri durante la fase di recupero. Ci vuole infatti una buona esperienza delle tecniche (e dei trucchi) per fare calate a corda doppia, senza intoppi e senza perdite di tempo.


Malgrado tuto questo da fare, il freddo della parete Nord, pian pano, ci entra nei vestiti. E’ ancora presto e siamo piuttosto in alto. La poca attività fisica della discesa in corda doppia, non aiuta a mantenere il corpo nella normale temperatura.

Siamo vestiti bene, ma il caldo è un’altra cosa.


Non le ho contate, ma le doppie che abbiamo fatto (che non sono state poche) ci “sbarcano” esattamente sulla Bocca d’Ambiez dove passa la ferrata dell’Ideale che collega la vedretta d’Ambiez, e quindi il sentiero che riporterebbe al Rif. Agostini, con la Valle dei Camosci e la Bocca omonima che porterebbe al Rif XII Apostoli.


Mentre spiego al mio compagno di avventura Maurizio questo storico collegamento vediamo sbucare due stranieri. Sono di passaggio, ci hanno visto arrivare dall’alto un po’ stupiti. Non sono abituati a vedere gente che “scende dall’alto”. Li salutiamo.

Durante la discesa avevamo notato tre persone salire sul versante opposto a quello della nostra discesa, ora sono spariti sul versante al sole. Quel versante è il nostro prossimo obbiettivo. Vogliamo scaldarci le ossa dopo questa lunga discesa.



Salita alla Cima Tosa lungo la “Via Migotti”.



Partiamo “quasi di corsa” seppur ancora intepiditi dalla “fresca” discesa. Questa prima parte è quasi verticale e ancora in ombra. Sforiamo appigli e appoggi su buona roccia… molto fredda ma pulita dai vari passaggi che si sono susseguiti negli anni.

Siamo in parete, con di nuovo del vuoto attorno. Ci siamo abituati, e questo terreno ormai è il nostro parco giochi dove ci divertiamo un sacco.

In breve arriviamo ad aggirare il grande spigolo e ci sediamo su una cengia in piena parete Sud Est. Il sole ci riscalda fin da subito, mangiamo qualcosa. E’ forse la prima pausa piacevole di questa prima giornata. Qui il vento è assente e da qui in avanti la nostra salita sarà più facile con un terreno meno ripido.


Questa ascensione sarebbe prevista, e viene descritta, come seconda tappa della Via delle Normali. Normalmente la si affronta partendo dal Rif. Agostini mettendo in conto circa 4h di arrampicata.

E’ una salita piuttosto conosciuta. Si tratta della più facile ascensione alla Cima Tosa se si proviene dalla Val d’Ambiez o dal Rif. XII Apostoli. Tuttora è riservata a persone con una buona capacità di arrampicarsi con disinvoltura sul II e III grado usando scarpe da trekking (quelle che abbiamo ai piedi fin da questa mattina) e qui il senso di orientamento prevale per individuare la giusta direzione, visto che, in questo caso, è possibile salire ovunque su un terreno contraddistinto da una successione di larghe cengie detritiche.


Anche in questo caso, per me è stata l’ennesima ripetizione. La prima volta più di trent’anni fa, poi altre volte. Anche in questo caso però, i ricordi si rifanno alla mia ultima salita su questa parete, fatta in una bellissima giornata di inizio maggio. Sempre con gli sci sulle spalle durante il concatenamento da Sud a Nord, di Cima Tosa e Cima Brenta. Con me, allora c’erano, Trota e Glauco; oggi Maurizio che mi segue velocissimo.


In poco tempo arriviamo, su quello che resta della calotta di ghiaccio che in passato ricopriva l’intera e grande cupola di Cima Tosa.

Sono da poco passate le 10.00. Siamo arrivati in cima, quasi contemporaneamente alla cordata che ci precedeva che raggiungiamo vicino alla madonnina che contraddistingue la vetta odierna, affacciata sul Canalone Neri che precipita nella Valle di Brenta difronte al Rif Brentei che vediamo molto in basso.


Davanti a noi possiamo godere uno dei panorami più belli del Brenta: in basso la Val Brenta, e l’omonimo rifugio, sopra le Punte di Campiglio, poco a destra la Cima Mandron di seguito la Brenta Occidentale e la punta principale di Cima Brenta. Staccato, sempre verso destra, lo Spallone dei Massodi, la Cima Molveno e la Cima degli Armì.

Si vede bene anche la Torre di Brenta, e quasi “sotto i piedi” gli Sfulmini, il Campanil Alto, quello più famoso (anche se più basso) “El Bass”, la Brenta Alta.

Mentre poco a sinistra, ma non poco lontano, il Crozzon di Brenta.


Sempre per tornare alla “nuova” Via delle Normali e alla sua descrizione; in questo caso essa prevede, la traversata “opzionale” fino alla vetta del Crozzon di Brenta 3135m con rientro per la stessa cresta. In realtà il Crozzon di Brenta visto dalla Cima Tosa, sembra vicino, ma la cresta che li separa è tutt’altro che breve.

Tutte le varie relazioni che descrivono il singolo percorso tra le due cime, raccontano di non farsi ingannare dall’apparente brevità del tragitto che, in effetti, da qui, visto in linea d’aria, sembrerebbe poter durare poco tempo.

Ma solamente chi ha fatto davvero questa “Normale”, chi a messo mani e piedi su questa cresta, sa di cosa stiamo parlando.


Chi conosce bene il Gruppo di Brenta sa che sono diversi i punti dove si può notare, per bene, che le due cime non sono affatto vicine.

Basta vedere quanto sono distanti già dal Rifugio Alimonta o ancor meglio dalle frequentate Bocchette Alte. Quel susseguirsi di contrafforti, di creste, di pinnacoli fanno si che quella “Normale” risulti essere tra le più lunghe, laboriose e la più difficile di tutte le Vie Normali del Brenta, tanto da dover mettere in conto alcune ore per fare andata e ritorno… e guai, se dovesse cambiare il meteo, fasi trovare a metà strada con la nebbia, o ancor peggio con un brutto temporale.



Dalla Cima Tosa al Crozzon di Brenta… e ritorno


Arrivati alla madonnina della Tosa siamo solo a metà giornata. Ci aspetta la Via Normale al Crozzon di Brenta. La più difficile, insidiosa e la più esigente delle Vie normali del Gruppo. Adatta solo ad alpinisti allenati in cerca di un viaggio tecnico tra le funamboliche creste e torrioni che portano in cima al remoto e mastodontico Crozzon di Brenta. Viene anche chiamato con il nome di “Super Traverso”.


Alcuni non pianificano nemmeno questa Via Normale ma la ritengono una variante al loro programma. Noi invece l’abbiamo pensata  e pianificata come obbiettivo finale di questa già lunga giornata.


E’ un massiccio di grosse dimensioni tra i più remoti del gruppo. Un vero è proprio gigante posto al di sopra della Val Brenta che è possibile salire quasi solamente da vie di sesto grado… le più famose, come la “Via delle Guide” sulla parete Est.




Questo tratto è costituito da un lungo traverso, il più “aereo” del gruppo, un itinerario avventuroso ed estremamente panoramico che percorre un lungo sistema di cenge e torrioni con molti passaggi esposti e tiri fino al terzo grado.


Iniziamo la lunga e labirintica traversata di cresta seguendo gli ometti che scendono verso Nord Ovest, seguendo il filo di cresta fino  ad una spalla della cresta stessa. Il Crozzon si vede lontano, leggermente a destra. La recente chiodatura semplifica non poco la linea da seguire, sia dal punto di vista dell’orientamento, sia per quello che riguarda l’assicurazione. Devo dire però che comunque ha lasciato che il percorso non sia da prendere sottogamba, anche in considerazione della mancanza di vie di fuga e della lunghezza e, cosa non da poco, non ne ha stemperato di molto il carattere severo e suggestivo di questa traversata.


Ancora oggi serve comunque senso di orientamento e soprattutto “piede fermo” ancor di più adesso, in quanto sui questi versanti Nord è da stamattina che calpestiamo almeno tre centimetri di neve sulle rocce al riparo dal sole.

A parte questo, mi accorgo fin da subito che è più facile orientarsi venendo dal Crozzon che il contrario… o forse solo perché l’ho sempre fatta come rientro dalle lunghe vie di roccia. E’ comunque più raramente percorsa dalla Tosa al Crozzon, come stiamo facendo oggi.


Dalla forcella appena raggiunta, aggiriamo una piccola torre poco sotto, sul lato Ovest, e scendiamo al primo grosso intaglio. Proseguiamo per un canale che oggi è quasi completamente nevoso con un fondo ghiacciato. Ci abbassiamo ancora fino ad aggirare un ennesimo gendarme di cresta. Raggiungiamo la più bassa delle forcella, che divide in modo marcato il massiccio della Tosa da quello del Crozzon.


Stiamo andando verso una delle più famose e caratteristiche cime del Brenta. Dal sentiero che sale da Vallesinalla appare come un gigantesco e slanciato corno proiettato verso il cielo. Il “Brent” è un termine pre-latino che significa anche corno. In tempi passati era conosciuto come Castello di Brenta e poi disegnato su una carta del 1875 come Cima di Castello. Solo nel 1882 ricevette dalla SAT di Trento l’attuale nome. La sua imponenza ed importanza alpinistica lo rendono una cima ancora più importante della più alta compagna Cima Tosa.


Nonostante appaia come un unico monolitico pilastro, è formato da quattro cime separate da tre profondi intagli: l’Anticima Sud, la Cima Sud, la Cima di Mezzo e la Cima Nord, tutte al di sopra dei 3000 metri. Ad esclusione della prima che oggi abbiamo aggirato sulla sinistra, le altre cime vengono salite dal percorso della via normale, rendendo piuttosto complicata la salita. E’ anche per questo che la sua Via normale dalla cima Tosa è piuttosto lunga, laboriosa e delicata.


Attraversiamo una marcata cengia orizzontale che passa sotto un tetto nell'ultimo tratto. Questa ci consente di aggirare tutto il fianco Sud-Ovest della prima anticima. Raggiungiamo un secondo canale (meno nevoso del primo) che sale alla forcella della prima cima del Crozzon (o Cima Sud) attraverso delle rocce gradinate.

Ci astetta una nuova discesa ancora sul lato Nord. Una ripida parete che ci porta direttamente ad una seconda forcella.


Sebbene tecnicamente non difficile, ed utilizzata quasi esclusivamente come via di ritorno dagli alpinisti dalle pareti est e ovest o dallo spigolo nord, la complessità ed esposizione del percorso lungo queste pareti e queste cengette. Oggi son anche innevate. Un terreno mai banale. Le pareti (alcune di roccia friabile) lo rendono adatto ai soli alpinisti a proprio agio su percorsi molto esposti su terreno instabile e con ottimo senso dell’orientamento.


Queste rocce friabili e ripide, però più gradinate, ci accompagnano in vetta alla seconda cima (o Cima di mezzo), 3128 m. Ci muoviamo con passo sicuro, a volte decidiamo di slegarci perché l’utilizzo della corda lungo queste cenge esposte è abbastanza illusorio. Si deve essere consapevoli che la contemporanea movimentazione su questo terreno esige una necessaria “fermezza di piede”, sangue freddo ed assoluta assenza di vertigini.


Ancora una discesa, questa volta lungo uno spigolo, quello Ovest, ancora verso un sistema di strette cenge che sembrerebbe ci permetteranno di attraversare questa prossima parete Nord, in direzione di un terzo intaglio. Forse l’ultimo.

Gli ometti di sassi e gli ancoraggi per le eventuali calate si susseguono, sono disposti in modo da essere piuttosto visibili sia che siano per la discesa che per la salita al ritorno. Solo pochi sono un po’ difficoltosi da trovare.


Dall’intaglio appena raggiunto saliamo su quella che dovrebbe essere l’ultima parete ripida. Dopo pochi metri siamo sulla vetta principale (la Cima Nord) dove troviamo il mitico box in lamiera dedicato a Ettore Castiglioni (un forte alpinista – amico di Bruno Detassis - e bravo scrittore). Siano sulla cima più alta.


Arrivare fin qui ci è costato un certo impegno fisico, per cui decidiamo assieme di fare una buona pausa dedicata alle fotografie, ad alimentarci e a bere quel poco di acqua rimasta nelle borracce. E’ proprio l’impegno fisico e il conseguente recupero che alla lunga gioca molto sulla resistenza e sui nervi di chi effettua questa traversata.


Ho letto diverse volte, che certi alpinisti tornati da questa Via normale il giorno stesso della scalata di altre vie, l’hanno considerata un incubo. Molti di loro, se dovesse esserci di nuovo un altre occasione, si sono ripromessi di non ripeterla più, ma di scendere con calate in doppia dallo spigolo nord ovest o dalla parete verticale.


Oggi a noi tocca ripeterla anche al ritorno. Abbiamo un solo e consolante vantaggio: l’abbiamo appena fatta all’andata e molti passaggi ora li conosciamo… ci eviteranno tempi morti alla ricerca del miglior percorso o dell’ancoraggio nascosto dietro una parete o al di sotto di un piccolo salto di rocce. In “breve” torniamo sui nostri passi e rimettiamo piede sulla Cima Tosa 3173 m


Dalla Cima Tosa al Rif. Pedrotti


Non ci “rimane altro” che scendere dalla Via normale lungo i “Caminetti a Sud”. Una discesa che conosco bene e che in ogni caso ci sembra un’autostrada dopo l’andata e ritorno dal Crozzon. Solo una breve fascia rocciosa da superare con due calate in corda doppia. “Atterriamo” sul ghiaione che ci accompagna al più comodo sentiero in direzione del Rifugio Tosa-Pedrotti.


Siamo un luogo stupendo: un vero miracolo geologico, un "balcone" che da vita ad un panorama spettacolare, unico nel suo genere: gli Sfulmini, il Campanil Alto e Basso, la Cima Margherita, la Brenta Bassa e Alta sono tutte cime in fila davanti ai nostri occhi.



Dodici ore dopo la partenza dal Rifugio Agostini raggiungiamo il Rifugio Pedrotti, reduci da una cavalcata memorabile con le Cime Ambiez – Tosa – Crozzon alle spalle !


Al Rif. Pedrotti…


Ogni volta che entro in “casa Nicolini” mi sento come di famiglia. Sono le ore 18.00, e al bancone trovo Franco con accanto la moglie Sandra. Nemmeno il tempo di salutarli che difronte a me mi viene incontro Diego Zanesco.

Un vero e proprio personaggio. Una Guida Alpina, per tanti anni istruttore delle Guide, uno dei miei istruttori. Oggi è vestito “a festa”, con pantaloni lunghi di velluto e camicia bianca. Ci salutiamo come se ci fossimo lasciati da buoni amici tre giorni fa; e invece sono passati ben ventisette anni, ma la nostra “sintonia” è la stessa di allora.


Mi invita a sedermi con lui presentandomi la moglie. Sono in “vacanza”: tre giorni in Brenta a scorrazzare tra cime e pareti. Parliamo di tutto. Con noi, ogni tanto, si aggiunge Franco che scopre la nostra vecchia amicizia. Maurzio ascolta aneddoti di montagna. Dopo poco siamo tutti quattro… anzi in sei allo stesso tavolo. Con noi c’è anche un ennesimo personaggio, instancabile chiodature in Valle del Sarca e non solo, Luca Pilati e un’amica.


La figlia di Franco, Elena Nicolini, prende gli ordini, ci consiglia sui piatti… siamo subito come in una grande famiglia, si chiacchera tutti assieme con il piacevole intervallo di qualche battuta di Franco che ogni tanto si siede ad interrompe piacevolmente il nostro parlare con ricordi di montagna vissuta.


E’ subito tarda sera… qui si rispetta il “coprifuoco” alle 22.00 si va a letto. Una breve interruzione della corrente fa capire che è ora di andare a letto. Qualche minuto dopo i generatori di corrente si spengono e nel rifugio regna il silenzio. Tutti a letto a pensare al proprio obbiettivo del giorno dopo.






2° giornata


La sveglia suona poco dopo le h 5. Usciamo a vedere le stelle. La prima luce dell’alba è già debole, laggiù all’orizzonte. Ci aspetta un’altra lunga giornata che per ora inizia con un’ottima colazione serviti dalla gentilissima Sandra. Franco si è svegliato prima di tutti, e a quest’ora è già quasi in valle per coprire un turno di soccorso all’eliporto di Trento.


Noi invece siamo ancora con le gambe sotto il tavolo a gustare una buona tazza di latte caldo. In cucina c’è “Gallo” (Davide Galizzi), non solo per le colazioni, ma già all’opera per i preparativi del pranzo… che noi non avremo modo di gustare.


Le Bocchette… Centrali


La nostra giornata prevede la continuazione della Via delle Normali che da qui in avanti continua ad essere sempre molto spettacolare. In programma la salita al Campanile Alto 2937 m e in seguito la Torre di Brenta 3014 m. Partiamo dal Rifugio Tosa Pedrotti verso le 06.15 per cercare di arrivare di buon ora sotto la nostra prima cima di giornata.


La direzione che prendiamo è quella verso la vicina Bocca di Brenta, attraversata la prima volta da John Ball, nel luglio del 1864. Si spinse fin qui per attraversare il massiccio di Brenta da Molveno fino a Madonna di Campiglio. Assunse delle Guide con portatori e addirittura delle persone addette alla cucina, per addentrarsi, a quei tempi, in un ambiente ostile e perlopiù sconosciuto. Un po’ come avviene ancora ai giorni nostri per le esplorazioni nelle regioni più remote del pianeta.


A più di 150 anni di distanza, noi… “viaggiatori dell’anima” possiamo contare su una rete strutturata di ottimi Rifugi, che ci offrono riparo, ospitalità e permettono di raggiungere le cime in maniera ben più agile. Questi “piccoli alberghi in quota” hanno modificato anche l’approccio mentale di chi sale in quota: prima si era abbandonati a se stessi, ora si trova una casa accogliente. Quello che prima era un oceano di roccia e ghiaia, ora è diventato un mare costellato di “porti sicuri”, conforto di ogni alpinista.


Sono, a modo loro, dei meravigliosi esempi di ingegno e tenacia, e i piccoli crogioli di umanità dove vi si radunano gli escursionisti e gli alpinisti, danno vita ad atmosfere d’altri tempi. Se si torna in valle un po’ più ricchi: molto spesso è merito degli incontri e delle storie raccolte dentro le mura di questi Rifugi.


Nella nostra epoca, dove ormai esiste quasi solo lo stile "mordi e fuggi", bisognerebbe soffermarci un attimo a distinguere il collezionare un obbiettivo con questo stile, o invece conquistarlo facendolo alla ricerca di un’esperienza più ampia. Dovremmo pensare che la Via di roccia sia solo la metà del nostro obbiettivo. Ma anche il contorno può essere altrettanto piacevole e da ricercare come la salita stessa.

Per dirla con le parole di A.Watts, forse non conta essere i più efficienti nel risparmiare il tempo, ma sarebbe meglio provare a spenderne e sprecarne un po’ di più per entrare a contatto, quello vero, con la montagna.


Con questi pensieri che scorrono per la testa arriviamo alla Bocca di Brenta. Da li dobbiamo percorrere le famose Bocchette… in questo caso le Centrali.


Come le altre, sono nate negli anni 30 del secolo scorso, dalla “visione” di alcuni appassionati che si cimentarono nell’apertura di queste ormai famose ferrate.

Allora fù un’idea futuristica: collegare le strette forcelle che costellano la zona centrale del Brenta, sfruttando un incredibile sistema di cenge naturali che corre, un po’ a Est e un po’ a Ovest, lungo il crinale spartiacque che degrada da una parte verso Molveno e dall’altra verso la Val Rendena e Madonna di Campiglio.


Un idea che prevedeva, allora, anche il dover ricorrere ad esplosivo e all’uso di demolitori per forzare i passaggi più angusti, mentre i tratti più esposti e in piena parete vennero attrezzati con funi metalliche e scale a pioli. Erano gli anni trenta e le eventuali critiche, relative agli impatti ambientali, non le ha mai fatte nessuno.


Per la precisone i primi tratti di quella che diverrà la celebre “Via delle Bocchette” vennero inaugurati nel 1937. Anche se i lavori proseguirono ben oltre il secondo dopoguerra. Probabilmente all’inizio non vi era la piena consapevolezza della lunga traversata che sarebbe sorta, ma sta di fatto che nel 1972, con il completamento del tratto dedicato ad Alfredo Benini, prese vita un sentiero attrezzato da percorrere in più giorni, a tappe, che rimane sempre ben oltre i 2000 m, e che collega cinque Rifugi alpini.


Mostrando grande lungimiranza, e un’etica ben precisa, chi allora concepì il progetto pose la clausola che questo tracciato non avrebbe mai dovuto toccare le cime.

Queste dovevano rimanere ad appannaggio esclusivo degli alpinisti; ovvero di quelli che fossero stati in grado di raggiungerle con le proprie forze, senza l’aiuto di cavi e scalette.


Era quello che avevamo intenzione di fare noi. Sfruttare le Bocchette centrali fin sotto la parete Nord-Est del Campanile Alto per poi salire lungo la “Via del Caminone”.


Campanile Alto


Meno famoso del fratello minore, il Campanile Alto è comunque altrettanto ardito e superbo. Non ha sicuramente la simmetrica regolarità, né la tipica forma squadrata del Campanile Basso, ma ha lo stesso slancio con proporzioni più grandiose.

Si eleva isolato nella Catena degli Sfúlmini a N del Campanile Basso, fra la Bocchetta che prende il suo nome e quella più Bassa degli Sfúlmini.

La sua vetta è bicuspide ed ad essa convergono tre pareti quasi verticali: quella orientale, sopra la Busa degli Sfúlmini; quella meridionale che si appoggia sul terrazzo della Sentinella (piccola guglia appuntita); e quella Nord Occidentale che strapiomba sopra la Val Brenta alta.


Tanti anni fa avevo salito l'affilata cresta 0vest, particolarmente pronunciata, che con un dislivello di 600 m affonda il suo zoccolo direttamente nelle ghiaie della Val Brenta raggiungendo la cima Sud. Una delle due cime del campanile, leggermente più alta della cima Nord. Allora ero sceso in corda doppia dalla Via Normale che oggi saliremo con una scalata comunque molto attraente e remunerativa, mai banale.


Questa salita venne individuata da Gottfried Merzbacher nel 1584, cercando di individuare una possibile linea di salita dalla Torre di Brenta. Nell'anno successivo, il 27 luglio 1885, accompagnato da Bonifacio Nicolussi, egli raggiunse l’inviolata vetta per il Gran Caminone del versante Nord.


L’attacco di questa salita lo raggiungiamo dopo aver abbandonato di poco le Bocchette Centrali, per salire un breve canale detritico sino alla Bocchetta Bassa degli Sfúlmini, tra il Campanile Alto e gli Sfúlmini. Pochi minuti per i preparativi, e siamo già con le mani sulla roccia per salire una fessura poco profonda che obliqua a sinistra.

Per queste salite non guardo mai la relazione, cerco di immedesimarmi nel periodo dell’apertura, nel materiale che avevano a disposizione e nella visione avventurosa che poteva avere il primo alpinista su questa parete, con lo scopo di raggiungere la vetta da una linea logica che cerca di sfruttare le parti deboli e accessibili della parete.


Sono i vari sistemi di cenge che seguiamo e che ci aiutano ad aggirare lo spigolo Nord. Al di là, sotto un enorme tetto, saliamo delle belle rocce gradinate, verso l'imbocco del grande camino gigante alto quasi 100 m. Un camino molto largo che saliamo sulla parete di sinistra. Oggi troviamo anche dei chiodi, ma allora non se ne conosceva nemmeno l’uso. A quei tempi sicuramente si saliva nel camino stesso; sicuramente nella prima salita si sono fatti largo tra le rocce incastrate nel diedro, unica protezione naturale in caso di caduta.


Il camino ci porta direttamente nella parte superiore dello stesso che scende dall'intaglio tra le due punte. Senza proseguire nell'intaglio tra le due cime, ci spostiamo verso sinistra raggiungendo una grande cengia che si affaccia sul versante Ovest. Un fantastico panorama si apre davanti a noi con la Brenta Alta, e più sotto il Campanil Basso con le bellissime pareti Nord Est. Proprio li davanti vediamo i nostri compagni di ieri sera salire verticalmente verso la cima. La breve distanza ci permette addirittura di avere uno scambio di saluti con relativa sorpresa da parte di chi, ancora più in basso, stà percorrendo le Bocchette ai piedi delle nostre rispettive cime.


Ci prendiamo il tempo di sentire il nostro eco, che rimbomba tra le pareti, e la relativa risposta al saluto da parte degli amici alpinisti, una bevuta e un boccone, e poi è ora di proseguire. Ma il percorso è breve: saliamo la facile parete gradinata della cima principale arrivando subito dopo sulla vetta.

Da qui il panorama è ancora più grandioso con tutta la Val Brenta ai nostri piedi e il Crozzon e la Tosa davanti… due delle nostre cime, salite ieri.


E’ stupendo e alo stesso tempo impressionante vedere la grandiosità dalle vette che abbiamo salito. Da qui si intuisce molto bene la distanza tra la Cima Tosa e il Crozzon, amplificata dai numerosi intagli che separano le due cime. Cosa fatta, che ci riempie ora, ancor più, di sana soddisfazione.


Ancora due saluti agli amici sul Basso, alcune foto di ricordo delle cime di ieri e del nuovo panorama, che è ora di prepararci a scendere. Abbiamo solamente terminato la prima salita di giornata… ci aspetta la discesa e la prossima vetta che vediamo la davanti, verso Nord.


In discesa, lungo la stessa linea di salita, è tutto più facile. Siamo aiutati anche dal nuovo posizionamento delle soste per le numerose calate in corda doppia.

In poco tempo siamo di nuovo alla Bocchetta Bassa degli Sfúlmini dove avevamo lasciato i “fedeli bastoni” che ora riprendiamo per proseguire sulle facili Bocchette.


Ci sembra di essere rientrati “nella civiltà” per il frequente incrocio con escursionisti intenti nella percorrenza di queste ferrate. Persino un incontro imbarazzante. Un signore che ha nei piedi dei ramponcini “da passeggio”: Dopo poco mi spiega che li ha messi solo per svolgere il compito di tenere assieme la pedula alla suola che si era scollata. A breve siamo quasi al termine delle Bocchette Centrali. Tra una distrazione e l’altra siamo andati oltre quello che doveva essere l’attacco originale della parete Sud della Torre di Brenta.


Torre di Brenta


Per salire la Torre di Brenta dovevamo arrivare fino all’ampio canale sotto la Bocchetta degli Sfulmini per seguire un semplice percorso che sfrutta un’ampia cengia. Qui iniziava la il tracciato della prima ascensione di Edward Theodore Compton, illustratore e alpinista tedesco noto per i suoi dipinti e disegni di paesaggi alpini, Falkner, Dallagiacoma e la Guida Alpina di Molveno, Matteo Nicolussi, nel 1882.

Ma la spensieratezza di essere sulle comode Bocchette e la distrazione del rampone, ci fa arrivare ben oltre e, seppur di poco, anche più in basso. Rimediamo con una variante, dove troviamo comunque anche un vecchio chiodo, che ci impegna non poco, per il superamento di alcuni salti di roccia che però ci riportano sul percorso originale. Poco dopo un secondo salto ci permette di arrivare su una cengia con alcuni ometti e la vera traccia della normale.

Da qui è comodissimo raggiungere a breve una forcella che separa il versante Est da quello a Nord.


Percorriamo una lunghissima cengia che ci permette di entrare nel cuore della parete Nord, ed in breve, sulla più classica Via Normale.

Anche su questa parete si cammina spesso e quindi il requisito fondamentale e necessario è quello di padroneggiare la progressione in conserva "a corda corta", visto che le difficoltà della scalata non superano mai il III° superiore.


Questa parete l’ho “calpestata” più volte fin dal 1988 sia in salita che in discesa tornando da alcune altre vie. Molte volte slegato assieme a compagni esperti.

Ciò ci permette di salire veloci e piuttosto precisi nella scelta del percorso che non sempre risulta evidente. In beve siamo nel camino che porta sulla spalla Nord Est della cima da dove tutto diventa più facile… fino alla vetta.


Siamo sulla massiccia ed imponente Torre di Brenta, che si eleva tra la Bocchetta Alta degli Sfulmini e la Bocca degli Armi. La buona qualità della roccia e la vicinanza al Rifugio Alimonta, fa risulta questa vetta piuttosto appetibile dagli arrampicatori. Ma oggi non c’è nessuno, e non credo che sia un’eccezione. Purtroppo queste vette stanno perdendo di interesse in quanto sono piuttosto complesse e di non comodo accesso.

Assieme al Campanile Basso, il Campanile Alto e gli Sfulmini, costituisce il caratteristico cuore delle Dolomiti di Brenta.


Iniziamo la discesa ripercorrendo i nostri passi del percorso fatto in salita. In gran parte camminando su comode cenge interrotte da brevi salti di roccia.

Una volta raggiunta l’ultima grande cengia della parte alta, sapevamo che dovevamo proseguire con delle calate sul versante Nord. Sono tante, ma tutto fila liscio fino a raggiungere l’ennesima doppia prima della grande cengia al di sopra del piccolo ghiacciaio della Vedretta degli Sfulmini.


Perdo un po’ di tempo nella ricerca di un nuovo ancoraggio che credevo esistesse per una discesa diretta alla base della parete. Invece, come in passato, siamo obbligati ad attraversare a piedi in direzione della Bocca delle Armi per alcune centinaia di metri.

Ad un certo punto individuiamo un percorso che sembrava farci arrivare sulla neve per proseguire verso la Bocca d’Armì; ma non ci riusciamo per via del ghiaccio vivo che si nasconde sotto appena due dita di neve bagnata. Scendiamo ancora a piedi fino ad attrezzare una doppia che ci permette di arrivare sul nevaio.


AL termine della corda però il pendio è ancora ripido. Una scivolata potrebbe tramutarsi in una e più ferite visto che il ghiacciaio e cosparso di sassi affioranti. Troppo lontani per essere sfruttati per camminare e piuttosto frequenti da poter creare pericolo in caso di scivolata. Optiamo per un pendolo a destra che ci deposita sulla più sicura roccia.


Recuperata la corda continuiamo a piedi fino ad incontrare una sosta dalla quale facciamo un ultima doppia in direzione del Rifugio Alimonta ormai non molto lontano.

Le nuove informazioni indicano questa discesa con la calata in corda doppia da ben 21 soste attrezzate. Prevedendo circa 3h solo per la discesa. Noi non abbiamo preso il tempo ma non vedevamo l’ora di mettere nello zaino la corda per l’ultima volta.


Il Rifugio Alimonta lo lasciamo alle spalle per proseguire i direzione della Bocca delle Armi. Da li scendiamo lungo il nuovo Sentiero Spellini che, con una vista meravigliosa sull’imponente parete est di cima Brenta Alta, ci fa arrivare nella Buca degli Sfulmini.

Da qui, con una scorciatoia diretta scendiamo verso il Baito di Massodi e più giù al Rifugio Selvata.


Ancora un piccolo sforzo e arriviamo dopo altre 12 ore al termine di questa seconda giornata. Mettiamo piede sul terreno del Rifugio Croz dell’altissimo alle h 18, contenti della giornata trascorsa sulle guglie del Brenta a coronamento di un sogno diventato realtà con la percorrenza, in due giornate, di gran parte degli itinerari alpinistici che hanno permesso di salire, per la prima volta, le principali Cime del Brenta.


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Quando i sogni si realizzano...


Al termine di una bella avventura, quello appena fatto diventa già passato. Un ricordo indelebile... è vero, che riempie il cuore di gioia, ma che allo stesso tempo ci lascia già fantasticare per il prossimo ennesimo "progetto".

Una volta a casa, e dopo aver assimilato quello che è stato fatto, si rivede volentieri il percorso dapprima sognato, diventato realtà, e si rivedono volentieri, nelle poche immagini scattate, le cime raggiunte. Il materiale è ancora una volta da sistemare, la corda è da fare asciugare. E' stata a contatto con la neve sulle cenge e sul nevaio.... la in alto. 

Si svuota lo zaino... magari uno zaino con un segno in più, lasciato da qualche ruvida roccia.. Una di quelle sfiorate poche volte in tanti anni.

Anche le scarpe sono da asciugare. Ne esce qualche piccolo sassolino... sono tutti ormai come piccoli segnali di quello appena fatto. 

Si ricontano i moschettoni, le fettucce, i cordini. Si riassesta tutto. Per la prossima uscita non deve mancare nulla.

Anche i vestiti, che per ora vanno dritti in lavatrice, dovranno essere profumati e pronti per la prossima nuova avventura. Sono, alcune volte, sempre quelli.

Quelli che ti sembra di indossare una seconda pelle. Non fa nulla se sono bucati o strappati quà e là, l'importante che siano i vestiti ideali. 

Insomma, a breve sarà di nuovo tutto da utilizzare!

Un altro "progetto" lasciato alle spalle. Un idea lanciata da un amico, da Maurizio, dopo aver visto un post su Facebook.

Progetto che è diventato realtà !!

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OMAR OPRANDI

 Guida Alpina e Maestro d'Alpinismo 

 guida.omar@alice.it

 ​339 833 2422  
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